Paraphrase

Poem Number: 
23
1Canterò, perché cantando il dolore si attenua,
come nel dolce tempo della mia giovinezza,
in cui nacque e germogliò quella passione
che poi è cresciuta con mio grande danno,
come vissi in libertà finché sdegnai
di accogliere Amore nel mio cuore.
E continuerò dicendo quanto vivo sia stato il risentimento di Amore
per questo mio sdegno e quanto mi accadde in seguito a questo,
così da rendermi esempio tra la gente di cosa può accadere in questi casi:
anche se il mio dolore
è già scritto in altri versi, così da consumare mille penne
e siano ormai disperse ovunque le mie pene,
a dimostrazione di come sia misero il mio stato.
E se in questi miei versi la memoria non mi aiuta,
come sempre accade, siano di scusa le mie sofferenze
ed il tormento che da solo la colma di angoscia,
tanto da far si che abbandoni ogni altro pensiero
e da indurmi con forza a dimenticare me stesso:
poiché si appropria del mio animo
e di me rimane solo il mio sembiante.
2Così io dico che molti anni sono passati
da quando Amore mi colse la prima volta,
così che anche il mio giovane aspetto è cambiato;
e gelidi pensieri avevano indurito il mio cuore,
impedendo che si allentasse
il mio fermo proposito di non amare (Laura).
Ancora il pianto non bagnava il mio petto
né scuoteva il mio sonno, e quello che ancora non era presente in me (Amore)
mi appariva negli altri cosa strana.
O me infelice, quanto misero sono e quanto diverso da allora.
La vita si giudica alla fine, il giorno solo alla sera.
Vedendomi quindi rimanere così freddo
e che ancora nessuno dei suoi strali
mi aveva inferto il colpo mortale,
il crudele Amore, chiese aiuto a Laura,
nei confronti della quale a poco mi sono valsi e valgono
l’arte, la volontà o la pietà;
e assieme loro due hanno potuto ridurmi in questo stato,
mutandomi da uomo qual ero in lauro,
che non perde mai le foglie nemmeno nella stagione fredda.
3Quale fu lo sgomento nello scoprirmi
così trasformato
e vedere i capelli tramutati in fronde,
quelle stesse fronde che avevo sperato avrebbero un giorno cinto la mia fronte,
e i piedi sui quali mi ero retto, con i quali avevo camminato e corso,
così, come ogni parte di un organismo corrisponde alla sua natura,
diventare radici, non sulle acque di Peneo
ma di un fiume ben più copioso,
e le mie braccia tramutate in rami!
Né meno mi ha riempito di sgomento
il vedermi coperto di bianche piume (il cigno del mito di Fetonte)
quando la mia ardita speranza cadde definitivamente:
poiché non sapendo dove e quando recuperarla,
solo e piangente tornavo giorno e notte
là dove l’avevo perduta, cercando lungo il fiume e dentro l’acqua;
e la mia voce non smise mai di lamentarsi
per l’infelice perdita della mia speranza:
acquistai così la voce e il colore del cigno.
4Così andai vagando lungo le amate sponde,
cercando di parlare, mentre da me usciva sempre un canto,
chiedendo pietà ma con voce estranea (poiché di cigno);
e neppure toni così dolci e soavi
seppero esprimere i miei tormenti,
così da rendere pietoso il duro cuore di Laura.
Tanto ardua fu allora la mia pena
che ancora mi ferisce il ricordo:
ma della mia dolce e crudele nemica
devo aggiungere ben altro,
anche se potrebbe essere difficile tradurlo in parole.
Laura, che ha il potere di rapire gli uomini con lo sguardo,
mi si mostrò benevola, e mi aprì il suo cuore
dicendomi “non parlarne con nessuno”.
Poi la rividi da sola e in altro atteggiamento,
così che mi parve diversa, come ti lasci ingannare animo umano,
e le confessai la verità trepidante;
e lei, riacquistando il suo atteggiamento consueto,
mi trasformò, me infelice,
quasi in un sasso inanimato.
5Mentre parlava, aveva un aspetto così turbato
che tremavo dentro la pietra in cui mi aveva trasformato
e la sentivo dire: non sono come tu forse mi credi.
E io dicevo a me stesso: “Se Laura mi libera da questa condizione,
nessuna vita mi sembrerà noiosa o triste;
torna, o mio signore (Amore) a farmi piangere”.
Non so come: eppure riuscii a liberarmi da quella condizione,
nessun altro incolpando se non me stesso
e rimanendo quasi tramortito.
Ma il tempo manca,
la penna non può assecondare la mia volontà:
quindi sto rivedendo molte cose nel silenzio della mia mente,
e parlo solo delle più nobili,
che possono destare ammirazione in chi ascolta.
La morte aveva avvolto il mio cuore,
né in silenzio potevo sottrarlo dalle sue mani,
o soccorrere le mie facoltà afflitte;
mi era impossibile parlare,
così affidai le mie grida a carta e inchiostro:
non appartengo più a me stesso ma a voi; se muoio, il danno è vostro.
6Credevo in questo modo
di rendermi degno ai suoi occhi,
e questa speranza mi aveva rianimato:
l’umiltà a volte spegne gli animi,
a volte li accende; e di ciò mi accorsi in seguito,
dopo essere vissuto lungo tempo nell’oscurità:
alle mie preghiere il mio lume (Laura) era sparito.
Ed io non trovavo attorno a me
tracce di lei,
come il viandante che si fermi a riposare,
e per strada un giorno mi gettai a dormire nell’erba.
Qui, lamentandomi per la perdita del mio raggio di luce (Laura),
lasciai libero sfogo al pianto;
e mi sentii mancare,
come nemmeno la neve si dissolve sotto il sole,
e divenni come una fontana ai piedi di un faggio.
Così rimase a lungo umido il mio cammino.
Chi mai sentì di un uomo trasformato in fonte?
Eppure queste sono cose vere, anzi conosciute.
7L’anima che solo Dio può rendere gentile,
perché una tale grazia non può venire che da lui,
conserva in se traccia del suo creatore:
perciò non smette mai di perdonare
chi con cuore e atteggiamento umile
dopo le offese, per quanto numerose, viene a chiedere perdono.
E se anche concede il suo perdono
dopo lunghe preghiere, in questo assomiglia a lui,
e lo fa perché si eviti il peccato:
poiché non può dirsi pentito
di un male chi si appresta a compierne un altro.
Dopo che Laura mi degnò di compassione,
avendo visto che la punizione
superava di gran lunga il peccato,
mi restituì benignamente il suo aspetto umano.
Ma l’uomo saggio diffida delle cose di questo mondo:
essendo io tornato a supplicare il suo amore
mi trasformò di nuovo in pietra;
e rimasi così pura voce, privata del corpo,
a implorare solo la Morte e il suo nome.
8Doloroso spirito qual ero diventato
andai vagando per strade oscure,
piangendo molti anni il mio ardire:
infine anche quella mia sofferenza finì
e riacquistai aspetto umano,
ma credo per provare un più atroce dolore.
Inseguii così a lungo il mio desiderio
che un giorno, mentre ero a caccia, come ero solito fare,
trovai la mia bella preda crudele
nuda in una fonte, nel momento in cui il sole splende più alto.
Io, che non so appagarmi di altra vista,
mi fermai ad ammirarla e lei ne ebbe vergogna;
e per vendetta o per nascondersi alla mia vista
mi gettò dell’acqua in faccia.
Ed è verità (anche se può sembrare fantasia),
io sentii che stavo perdendo la mia natura di uomo
e trasformandomi in cervo, errante solitario nei boschi,
inseguito da una muta di cani.
9O mia canzone, io non fui mai come quella nuvola dorata
che poi scese in forma di pioggia preziosa,
così da spegnere in parte il fuoco di Giove;
ma fui possente fiamma accesa dal suo sguardo,
e fui l’uccello che vola più alto (aquila)
elevando così anche lei con i miei versi:
né trovai altre fonti di ispirazione,
perché anche solo la sua ombra riesce a cacciare dal mio cuore
ogni piacere che non sia a quell’altezza.
Language: 
Italian
Base Text: 
Contini

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